venerdì 13 agosto 2010

L'Esercito di Gaia, terzo classificato alla VI edizione del Concorso Letterario Onda d’Arte di Ceriale

Si è svolta domenica scorsa nella piazza della chiesa a Ceriale la cerimonia di premiazione della VI edizione del Concorso Letterario Onda d’Arte.
La serata, pilotata con maestria dall’attore Mario Mesiano, ha visto succedersi Giorgio Caprile, Daniela Bruzzone, Alessandra Ardigò e Simonetta Pozzi che hanno interpretato i brani premiati, accompagnati dalle danzatrici della Scuola “The Dance Studio” sulle splendide coreografie di Irene Ciravegna e Ida Spallanzani. Ospite d’onore la scrittrice ingauna Cristina Rava.
L’evento, organizzato dalla Pro Loco di Ceriale con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ceriale, ha richiamato oltre 150 scrittori provenienti da tutta Italia. Il concorso era diviso in due sezioni: libri editi indirizzati a bambini e ragazzi e racconti inediti.
Per i libri editi, il primo premio è stato assegnato a Livy Former di Milano per “Marlina dei Misteri”, Edizioni Paoline. Secondo posto a Stefano Mariantoni di Rieti per “Quarto anteriore sinistro” e terzo posto a Giulia Baroni di Ferrara per “L’esercito di Gaia”, Tabula Fati Editore.

http://www.ivg.it/2010/08/13/ceriale-premiate-le-scrittrici-del-concorso-letterario-onda-darte/

domenica 16 maggio 2010

Basta un poco di Dimitri e un pizzico di D'Andrea e la pillola va giù

Ho rimesso piede a casa un minuto e mezzo fa. E sono qui. Qui a non saper bene cosa scrivere, però sto bene qui, davanti al mio pc e con le dita sulla tastiera e stavo bene anche a Torino, tra libri e scrittori. Così come accaduto al Festivaletteratura sono molto contenta di essere andata al Salone del Libro di Torino. Non posso non dire di preferire il festival di Mantova a alla fiera di Torino, ma entrambe le manifestazioni sono comunque da provare, a mio parere.

Diciamo che in Piemonte ad essere centrale è prevalentemente l'editoria intesa come casa editrice, a Mantova invece è l'autore e il suo rapporto con i lettori ad essere centrale.

Ciò detto, in questi due giorni ho avuto modo di esplorare un po' il mio di rapporto con i libri. In particolare ho ragionato sul mio rapporto con i libri altrui. Questo è stato finora un anno molto felice dal punto di vista delle letture, cosa che l'anno scorso non era accaduto.

Cosa c'è di nuovo quest'anno? Quest'anno ho conosciuto (dal punto di vista letterario e non dal punto di vista personale) due autori che mi hanno letteralmente entusiasmato: Gl D'Andrea e Francesco Dimitri. Sia chiaro che non li sto accostando in quanto simili (sono persone diverse che scrivono cose diverse in modo diverso), ma solo perchè li ho "scoperti" più o meno nello stesso periodo e mi hanno appagata e accontentata (sempre dal punto di vista letterario) ben al di là di quelle che erano le mie aspettative. Ero arrivata quasi a non considerare più il genere fantastico, mi ero accostata quasi esclusivamente all'horror, alla narrativa classica e al thriller. In parole povere ero stanca di baby scrittori e anche, lo dico in tutta onestà, del Mondo Emerso. L'ultima trilogia di Licia Troisi non l'ho nemmeno iniziata e non ho intenzione di farlo: non perchè la qualità del lavoro svolto dall'autrice sia calato, ma semplicemente credo sia giunta l'ora di uscire dall'ormai impantanato Mondo Emerso. E' giunta l'ora di dire basta, o almeno questo è il mio pensiero. Per quanto riguarda invece La Ragazza Drago ho poco da dire: il primo non mi è piaciuto e non ho intenzione di comprare i volumi successivi. Potrei riassumere il tutto con un'unica parola: noia. Il fantastico non mi divertiva più, non mi stupiva e non mi sconvolgeva.

Poi qualcuno mi ha sussurrato all'orecchio il nome di Gl D'Andrea. Per mesi non ho ascoltato quel sussurro. Poi, chissà perchè, ho detto "ok, proviamo". Ed è stata una scelta incredibilmente azzeccata. Poi, lo stesso sussurro mi ha dato un altro nome: Francesco Dimitri. Stavolta ho ascoltato subito, e ho letto Pan. Altra scelta giustissima.

Infine sono arrivati il secondo volume di Wunderkind e la nuova fatica di Dimitri (Alice nel Paese della Vaporità). E qui si è scatenato l'entusiasmo. Sono due opere che mi sento di classificare come eccellenti, due opere che mi hanno convinta al 100%, due opere che, udite udite, non mi hanno solo divertita ma anche stupita. Ho letto qualcosa che non credevo di poter leggere, che non sapevo esistesse e che può davvero cambiare il futuro del fantastico. Se io avessi due cent da puntare, li punterei su Gl D'Andrea e Francesco Dimitri. Chiaro che ora le mie aspettative sono altissime, e quindi di libro in libro divento una lettrice sempre più esigente. Chiaro che mi aspetto da questi due autori qualcosa di diverso ogni volta, qualcosa di più (più nuovo, più entusiasmante, più tutto) ogni volta. Ogni volta, mi aspetterò di leggere la parola FINE sui loro romanzi e sentirmi come mi sento adesso: entusiasta e fiduciosa.

La mia è quasi una pretesa: non li voglio vedere impantanarsi a lungo sui mondi creati finora, non li voglio vedere scrivere di tutte le generazioni future dei loro personaggi. Ogni volta qualcosa di nuovo. Chiedo troppo? Di certo chiedo moltissimo. Ma da quel poco (pochissimo) che posso (pretendere di) aver capito dalle loro parole (su blog, interviste, fb ecc...) credo di chiedere la stessa cosa che chiedono a loro stessi.

Stupitemi. Anzi, stupitemi ancora. Grazie.

giovedì 13 maggio 2010

Non lasciarmi qui.


Batuffoli di pelo scodinzolanti, saluti fatti di versi incomprensibili, baci umidi.

Ciotole piene, acqua rovesciata, cucce rassicuranti.

Lunghe passeggiate, biscotti di marca, carezze a volontà.

Terapie, inserimenti, recuperi.

Le mie e le vostre giornate sono fatte di questo e altro. Finchè stiamo insieme.

Poi devo andare via, devo andare a casa. Voi no, voi siete ancora lì.

Ogni volta è più difficile, ogni volta mi dico che manca un giorno in meno, che, forza!, un’altra settimana è passata e prima o poi quella maledetta casa sarà finita.

Esco dal vostro box - un box grande, sì, un box protetto, sì, un box accogliente, sì, ma pur sempre un box – e vedo te, Cody, che paziente e saggio come ogni cane della tua età (hai 9 anni, dicono, ma secondo me ne hai meno) ti sdrai sulla brandina e mi guardi pieno di gratitudine e di aspettative. Fai bene ad avere delle aspettative: l’hai capito, vero? L’hai capito che ti porterò a casa. Non hai fretta tu, che hai passato tutta la vita a Napoli, in un posto piccolo e sporco, senza passeggiate, senza cure. Le tue zampe storte testimoniano la poca mobilità, la tua leishmania prova le poche, forse inesistenti, attenzioni igienico-sanitarie. Poi con l’aiuto e il sostegno di altre persone meravigliose ti ho portato quassù. Quassù è pur sempre un canile, ma è un posto meraviglioso per te, che non avevi mai ricevuto tante attenzioni.

Esco da tuo box e i tuoi mi dicono: “Ti aspetto.”

Giusy, tu ancora non sei saggia, non sei paziente: tu sei una cucciola di poco più di un anno. Sei esuberante, piena di energia, eccitata. Esco dal vostro box e tu ti aggrappi alle sbarre. No, non con disperazione, non con rassegnazione, non con tristezza.

Non sei più lo straccetto di pelo e ossa con la coda mozzata che hanno portato al rifugio in giugno 2009. Eri inavvicinabile, dicono. Uno sgrorbietto piccolo ma pieno di rabbia. Ringhiavi a chiunque, la bava alla bocca, due file di denti bianchi bene in vista. Tremavi nel tuo angolo. Ma non era cattiveria la tua. No, era terrore, diffidenza, istinto di sopravvivenza. Cosa ti avevano fatto per ridurti così nessuno lo sa. Non importa, è passato tutto. Ora sei vivace e fiduciosa, un po’ irruenta ma contenibile. L’opposto di Cody, e forse per questo siete una coppia perfetta. 25 kg l’uno: 50 kg di trascorsi diversi ma con un presente in comune e un futuro da trascorrere con me e Davide.

Quando esco dal vostro box i tuoi occhi, Giusy, mi dicono: “Non lasciarmi qui.”

L’hai imparato bene, maliziosa e sveglia some sei, che se mi allunghi la zampa fuori dalle sbarre e mi guardi dicendomi così, io torno indietro, tardando il mio ritorno verso casa di altri dieci minuti.

E Cody, vecchietto ma arzillo, ti imita.

Tranquilli, non vi lascio qui. Voi aspettatemi.

lunedì 10 maggio 2010

Io, Esbat e le "robe giapponesi".

Non è mia abitudine stroncare un libro solo perchè non mi è piaciuto, perciò non lo farò, dirò solo che ho abbandonato la lettura di V.M.18 e ho iniziato Esbat.

Riprenderò V.M.18 prossimamente, magari dopo Saramago e Dazieri, quando forse non sarò più fortemente influenzata dalle altissime aspettative che mi ero creata nei confronti di questo romanzo.

Parliamo di Esbat, invece. Non esporrò un’articolata opinione perché non l’ho ancora finito, posso però dire che finora mi piace molto.

A rallentarmi, oggettivamente, è la mia davvero scarsa (quasi inesistente) cultura in ambito anime e manga (e tutte le “robe giapponesi”). Nella mia ignoranza credo di aver indovinato nel manga-anime Hinuyasha (che probabilmente non si scrive così, ma dato che si capisce lo stesso non perdo tempo a cercarlo su google) l’origine di questo romanzo che poi è una fanfiction.

Ok, di Hinuyasha so qualcosa dato che mi è capitato di vederne qualche puntata su MTV. Mi ricordo che c’era Kagome, un demone volpe, una sfera dei 4 spiriti che non ho mai capito bene cosa fosse e a cosa servisse, una tipa che è morta 5 o 6 volte che faceva (fa?) la sacerdotessa e vari altri personaggi di contorno, tra cui il cattivissimo cattivo che a un certo punto si trasforma in due neonati (uno buono e uno cattivo). Poi, ovviamente, c’è il mezzo demone e protagonista Hinuyasha che ha un fratello demone che non mi ricordo come si chiama (e che mi pare essere lo stesso che va a letto con la Sensei in Esbat).

Tutto ciò ha in realtà poco a che fare con Esbat, la cui storia si snoda su vicende diverse.

Dove sta la mia difficoltà? Non saprei indicare una motivazione scatenante (beh, i nomi giapponesi e gli optional sempre giapponesi e impronunciabili non aiutano), ma è oggettivo che quando siamo in ambito manga o anime io mi sento un pesce fuor d’acqua. Annaspo davvero, stando a galla sì, ma con fatica. E’ un po’ come essere in mare: non so nuotare ma stranazzo, il risultato è che per fare 2 metri uso il fiato che un mediocre nuotatore userebbe in 2 vasche.

Così, arrivata al momento in cui la protagonista di Esbat (Sensei...ma avrà anche un nome?) incontra il suo demone, devo tornare a rileggere tutto il primo capitolo per capire cosa diavolo le sta rinfacciando e perché diavolo prima la vuole sbudellare e poi le regala il più bell’orgasmo della vita. Poi ho capito, ma mi sono dovuta aiutare con una specie di schemino. E il problema, ne sono certa, non sta nella scrittura dell’autrice (Lara Manni) ma nella mia testa. Prendiamo, ad esempio, Full Metal Alchemist: un anime che mi risulta essere tratto da un manga. Io non ci provo proprio a entrare nella storia. Nella mia testa la filosofia di queste opere si annacqua, poi si sgretola, poi sparisce. Devo avere una specie di filtro nel cervello che mi impedisce di capire le storie, di capire i personaggi e di tenere a mente quel poco che credo di aver capito ma che probabilmente ho frainteso. Avete presente la scimmietta che sbatte i piatti nel cervello di Homer Simpson quando lavora? Ecco, a me succede la stessa cosa davanti a manga/anime, e non so il perché. C’è qualcosa che mi affascina, che mi prende e che mi trascina, ma c’è qualcosa, qualcosa di chiaramente più forte, che non mi consente di avere un vero feeling.

E la cosa triste, in tutto questo, è che ho la netta sensazione di perdermi qualcosa di davvero piacevole. Esbat non fa che acuire questa sensazione.

martedì 4 maggio 2010

Romanzi passati, presenti e futuri

L'esercito dio Gaia è uscito negli scaffali delle Ipercoop di Ferrara: 40 copie in tutto, venti in un ipermercato e 20 nell'altro. Bene, sono contenta: almeno un po' di visibilità!

Oggi sono andata a comprare pollo e patatine per la cena e ovviamente sono passata dal reparto libri: dovevo vederle, le mie 20 copie!

La copertina è stata ritoccata e devo dire che è migliorata: il giallo della cornice e della scritta attira parecchio lo sguardo, soprattutto dei bimbi. Il problema era il posizionamento: un espositore (grande, devo dire) dedicato interamente agli scrittori ferraresi. Male, molto male. Ai ferraresi non frega niente degli scrittori concittadini, perchè di sicuro sono delle mezze seghe (dicono loro) (i ferraresi, intendo).

Ho preso tre copie e le ho messe di fianco a Geronimo Stilton, nel reparto per ragazzi.

Vedremo se il mio personale modo di fare marketing avrà più riscontro della fantasmagorica idea delle Ipercoop di fare un espositore apposito per i ferraresi.

Al momento non ho invitato amici e parenti e affini a comprare il mio libro: non avrebbe un gran senso, non è questo che uno scrittore vuole. Cosa vuole uno scrittore non mi è chiaro (no, Val, non credo sia la fama. Non solo la fama, almeno), ma di certo non vuole costringere amici e parenti e affini a comprare un libro che poi non leggeranno. Lo lascio lì a decantare: se venderà è perchè a qualcuno è piaciuto e magari l'ha detto a un altro, se non venderà può essere per parecchi motivi, uno dei quali la mancanza di appeal del libro.

Intanto "Il salvatore di anime" (che non dovrà mai nemmeno avvicinarsi allo scaffale di Geronimo Stilton, pena l'invio di un Caghoulard in libreria) è ufficialmente finito: non ci metto più le mani, non ritocco più i nomi, né il titolo, né sistemerò ulteriormente la trama. Il cordone ombelicale è stato tagliato, forse un giorno il io secondogenito letterario emetterà anche il primo vagito, chissà.

Non credo lo invierò a molte case editrici: forse 3 o 4, giusto per non sentirmi dire "non ci hai nemmeno provato". Opterò per strade diverse da quelle intraprese con L'esercito di Gaia; in primis lo metterò su internet non appena il sito sarà terminato, in secondo luogo ho contattato le uniche due agenzie letterarie che non chiedono denaro per valutare gli inediti. Se ne troverò altre, lo manderò anche a loro.

Dopo l'estate valuterò se spedirlo a qualche concorso letterario, ma di norma la presenza di un testo su internet implica l'esclusione da questo genere di cose.

Intanto procede il terzo romanzo, ormai a buon punto. E' una storia che nulla ha a che vedere col fantastico, anzi. Purtroppo tratta di temi reali: vivisezione, maltrattamento di animali, combattimenti illegali e altro ancora. A raccontare le vicende è la protagonista, perciò è scritto in prima persona, per di più al presente. Una sfida notevole per me, che ho sempre scritto in terza persona e al passato. Ovviamente non ho idea di quale sarà il titolo (avevo pensato a E.L.A. - esercito liberazione animali, ma pare riscuota ben pochi consensi), ma per quello c'è tempo. So già che mi serviranno minimo tre stesure.

Continuo a scrivere, quindi. Il perchè non lo so e non mi interessa.

martedì 20 aprile 2010

Giustizia

Credo di conoscere i cani, di poter prevedere le loro reazioni. Invece no, loro mi stupiscono.

Forse l'avete visto, a Striscia, il servizio su quel casolare di Cuneo nel quale un ragazzone di 200 kg teneva (tiene??) gli animali in condizioni terribili, senz'acqua, senza cibo, a catene cortissime e senza riparo.

Il mitico Edoardo Stoppa alla fine del servizio ha ottenuto la liberazione dalla catena dei cani. E queste bestiole che hanno passato l'inverno legate, sotto la neve e senz'acqua, cos'hanno fatto appena liberate? Le feste. Sì, hanno preso a saltare e scodinzolare intorno ai carcerieri, ai torturatori, agli schifosi bastardi.

Perchè poi il cane è così: riconoscente, anche quando non avrebbe motivo di esserlo. Hanno a modo loro ringraziato il "padrone" per il meraviglioso dono della libertà, senza capire che la libertà non è un dono ma un diritto. Erano felici, quei cani.

Ma io voglio vederli felici lontani da lì, da quel ragazzone e da quel posto schifoso. Loro sono felici, ma a me non basta. Io vorrei un po' di giustizia. Giustizia per quei cani, per i bambini violati, per me, per le persone cui voglio bene. Giustizia per tutti coloro che stanno male e non lo meritano. Giustizia, se non umana, almeno divina.

martedì 13 aprile 2010

Week end con l'editor

Vi dirò qualcosa che io avrei voluto dicessero a me: se il vostro editor è donna, madre e moglie e quindi probabilmente una buona cuoca, e un bel giorno vi invita per un fine settimana a casa sua, beh, prima di partire osservate 3 giorni di digiuno; eviterete così di ingrassare 1 kg in 3 giorni.

Ciò detto, passiamo a qualcosa di molto piacevole.

Il paesaggio: ero a Buja, località collinare in provincia di Udine. In quei tre giorni, là, è stato primavera a tutti gli effetti: il venerdì c’erano 25 gradi, il sole ci ha sempre fatto l’occhiolino e ho potuto godere appieno dei doni che la natura riserva a chi passa da quelle parti.

Credo davvero che il contesto naturalistico abbia dato un impulso non indifferente alla mia scrittura. Sono infatti partita con il portatile, ma poco fiduciosa: ero arrivata a un punto del romanzo abbastanza critico, nel quale la vicenda si doveva snodare in una qualche direzione ma nessuna di quelle intraviste fino a quel momento mi soddisfaceva. Eppure, già il secondo giorno, mi sono seduta alla scrivania di Mattia (figlio ventenne di Silva, la mia editor, ovvero la mai madrina), ho acceso il pc e senza nessunissimo sforzo il mio personaggio ha creato una situazione nuova, inaspettata e che mi aggrada ben di più di quelle che mi ero prospettata prima di partire. Il tutto senza il minimo piano: semplicemente mi sono seduta e ho scritto senza sapere cosa sarebbe saltato fuori. Grazie quindi alle colline di Buja e all’ospitalità di Silva, che hanno incnsapevolmente sciolto i nodi della mia trama.

Ho potuto bearmi di un contesto nel quale si può parlare di cinema e letteratura con toni che passavano dall’ironico al serio passando per il critico: tutte le declinazioni del piacere, per quanto mi riguarda.

Ho visto posti molto belli, a volte tristemente sfregiati non solo dal terremoto degli anni 70 che ha lasciato cicatrici, ma anche da una certa dose di menefreghismo e ignoranza tipici non tanto dell’uomo quanto dell’uomo politico. Insomma, ero pur sempre in Italia, no?

Il cibo è di certo stata un’altra piacevole parentesi: Silva non ha mancato di mettere in tavola pietanze friulane, tanto buone quanto caloriche, ma ne è valsa la pena, ve l’assicuro.

In tutto questo la mia editor ha anche trovato il tempo di fare una presentazione della sua raccolta “Racconti dal Sottobosco” (collana Fiabetica, la stessa de L’esercito di Gaia), che è stata un successo: tanti bambini in sala, ma anche tanti adulti che hanno gradito le letture ben gestite dai volontari con copricapo a tema e accompagnamento musicale. E non poche copie sono state vendute: anche questo è un successo, dico bene?

Il ritorno a casa non mi lascia solo 1 chilo in più in corpo e qualche specialità friulana in frigo: mi lascia anche un’esperienza stimolante e piacevole, condivisa con persone squisite. Su di loro non mi dilungherò oltre: ci sono cose che anche uno scrittore preferisce tenere per sé.

mercoledì 24 marzo 2010

Molly che parla con le farfalle

Cosa può passare nella meravigliosa testolina di un cane che trascorre le sue ore a guardare le farfalle? Provate a immaginare un pastore tedesco di 40 kg, adulto seppur giovane, che salta dietro i merli e osserva il volo di un'ape. Per ore. E in quelle ore non conta nient'altro: non il cibo, non le carezze, non i giocattoli, non i compagni a 4 zampe. Tutta la vita di un grosso cane racchiusa nello sguardo perso nel zig-zag sereno di insetti ed animali volanti. Un'eterna cucciola, incurante del passare del tempo, dei tramonoti, dei pasti, degli anni. Eternamente giovane sì, ma eternamente segnata nell'animo da un'esperienza inimmaginabile di sevizie e botte. Di lei sappiamo solo quello che è anche stato scritto sui giornali; ovvero che è stata trovata in stato di shock mentre passeggiava (passeggiava!!) in mezzo ad una strada ad alta velocità e molto trafficata, sanguinanate e ferita al punto che non si sapeva da che parte prenderla. Ma il suo fisico è forte, ed è guarita. La sua mente provata da un passato di tortura invece non è guarita: Molly a volte c'è, sembra vederti, considerare la presenza. Ma tante volte no: si perde nelle piccolezze della natura, e ci resta finchè non decide lei stessa di uscirne, magari per mangiare. Io vorrei poterla seguire in quel mondo magico, e vorrei che lei potesse anche restarci, lì, dove le farfalle le sussurrano leggende lontane e gli uccelli le raccontano di posti incantevoli.

Piccola eterna cucciola, tu che osservi il volo degli insetti e degli uccelli, dove vorresti volare? Lontano dai brutti ricordi?

LA tua dignosi è autismo. Ma forse tu hai solo trovato il modo di essere felice.

mercoledì 17 marzo 2010

Libri maturi.

Ho scritto due romanzi e ne sto scrivendo un terzo: sono tutti di generi differenti. Diciamo che se i primi due potevano essere quantomeno simili (fantasy il primo, urban fantasy il secondo), il terzo non c’entra una cippa lippa con i precedenti (non c’è nulla di fantastico). Mi chiedo: può questo essere un sintomo d’immaturità? Forse lo scrittore maturo, quello pronto, è anche quello che ha un suo genere e che lo sente suo con una certa esclusività. Ci sto pensando da qualche giorno (da quando GL ha iniziato a pubblicare i post sulla sua esperienza editoriale), e non ho ancora trovato una risposta. Anche il pubblico dei lettori è diverso da libro a libro: il primo è per l’infanzia, il secondo per ragazzi (giovani adulti) il terzo ancora non lo so (potrebbe non avere un pubblico target, lo scoprirò alla fine. Perché io scrivo storie, non storie per).
Quindi io non ho un “genere” di riferimento. Al massimo ho qualcosa da dire, e uso una storia per comunicarla, una storia della quale devo innamorarmi all’istante.
Ma d’altra parte, quando questi personaggi sfondano la porta del mio cervello, posso io invitarli a uscire adducendo strane scuse relative alla necessità di impacchettare una storia di “genere”? Potrei anche provare, in effetti. Potrei ignorarli nella speranza che se ne vadano dalla mia testa. Ma perché farmi della violenza?
Eppure, mi chiedo anche: perché le mie idee sono così diverse l’una dall’altra? Perché non hanno una linea comune? Forse non sono pronta. O forse non serve appartenere ad un “genere” per essere scrittori. Chissà.

Ps
piccola soddisfazione che vi posto qua
http://www.houseofbooks.org/2010/03/17/contest-skeleton-creek/

lunedì 8 marzo 2010

La forza di chi è considerato debole

Sensibilità. Ogni volta che racconto a qualcuno quello che faccio per gli animali, I progetti futuri in quest'ambito, le sconvolgenti verità che nessuno conosce sul campo, salta sempre fuori questa parola: sensibilità.
"Siete più sensibili, voi donne."
Sarà anche vero, e allora? Io sono sensibile e tu sei insensibile e indifferente, chi dei due ha qualche problema?
Piangiamo di più? Può essere, ma prima dopo e durante il pianto tante di noi fanno qualcosa per impedire ad altri di piangere. La sensibilità ci rende più forti, al contrario di quel che tutti credono. Perchè è la sensibilità a spingerci ad agire. L'indifferenza, quella che fa dell'uomo un "macho", spinge solo a condurre la propria vita sterile, e non c'è niente di più inutile. Se sei insensibile eviterai di aiutare gli altri, perchè non te ne fregherà niente. Se sei insensibile non lotterai mai per cambiare quello che non va, perchè ti è indifferente. Se sei insensibile ti crederai forte, e invece sarai un codardo, perchè nessuna battaglia ti interesserà veramente, e quindi dove sta la tua forza? Nel non combattere?
Non siamo deboli, noi donne. Non dobbiamo essere difese nè salvate nè salvaguardate più degli uomini. Siamo persone, e i diritti delle persone sono uguali per tutti, non ce ne sono di speciali per le donne. E' per questi diritti che ci battiamo, e il fatto in certe società ce ne siano di meno o che non ce ne siano proprio per le donne non fa di noi delle creature deboli e indifese. Non serve fare il soldato per essere più forte. La forza è un'altra cosa, e non ci manca di certo.
La festa della donna non ci deve ricordare certo che siamo migliori (non è così, non necessariamente), nè a ricordare all'uomo che siamo dei fiorellini candidi. Serve per ricordare a tutti, uomini e donne, che da qualche parte ci sono ancora società nelle quali la parità dei sessi è un'utopia. Parità: non siamo nè meglio nè peggio. La nostra forza si esprime diversamente da quella dell'uomo: questo non fa di noi delle vittime, fa di noi delle creature che lottano per scopi a volte uguali a quelli degli uomini e a volte no, ma spesso con mezzi diversi. Spesso, non sempre. Perchè non siamo speciali. Si parla di grandi numeri, ovviamente. Ci sono donne orribili e uomini straordinari. In generale è vero che la donna è più sensibile, e io lo vedo dal database sempre aggiornato dei volontari italiani: 98% donne. Donne come me (senza modestia, ecchecazzo!) che si macinano km su km da sole, a volte di sera, a volte durante proibitive giornate invernali o festive, per far attraversare la penisola a dei cuccioli e salvare loro la vita. Che si alzano presto tutti i sabati e tutte le domeniche (dopo un'intera settimana di lavoro lontano da casa) per andare al canile e fare la propria parte anche quando nevica, quando fa freddo, quando è festa, quando si è stanchi da morire. Che passano il tempo libero (poco) (e che poi libero non è) a scrivere, divulgare, condividere, leggere e approfondire appelli che straziano il cuore. Che raccolgono brandelli (letteralmente) di animali investiti dalla strada. Che mettono mano anche al portafoglio (perchè sul cuore siamo tutti capaci) per salvare qualche creatura. Che trascurano la propria vita (e quella di chi si ama) per aiutare i figli di un Dio minore.
Tutto questo senza mai scordarsi di chi è debole e solo e indifeso ma che non ha la coda e non ha la pelliccia, ma che ha due gambe e appartiene alla categoria degli esseri umani. Tutto questo senza risparmiarsi anche per quelli della propria specie. Tutto questa senza mai smettere di essere anche donne, mamme, mogli, professioniste, casalinghe. Senza comunque smettere di vivere: perchè non ci basta esistere, noi vogliamo anche vivere.
Questa è forza. Siamo forti. Molto forti. Forti da far paura.

lunedì 1 marzo 2010

Maestra pancreatite

L'ho conosciuta nel 2006, e quella notte ho conosciuto di conseguenza il vero dolore fisico. Certo, ci sono miliardi di cose molto dolorose, ce ne sono una discreta quantità di più dolorose, ma non sono poi così tante e soprattutto sono abbastanza inusuali. La pancreatite, per intenderci, è molto più dolorosa di una qualunque colica renale e molto probabilmente è riconducibile ai dolori di un parto naturale, ma non porta con sè nè la consolazione di una buona causa nè la speranza di un futuro ricco di soddisfazioni derivanti dal nascituro. E' un dolore fine a sè stesso, profondo, che circonda il busto e sembra stritolarti in una morsa abbastanza potente da toglierti il respiro ma non abbastanza insistente da spaccarti il corpo a metà. E', soprattutto, un dolore bastardo. Bastardo perchè bussa alla porta di giorno, ti tedia ma con discrezione, come un tarlo, ma è abbastanza sopportabile da non allarmarti. Così vai a lavorare, lamentandoti del mal di schiena come una pensionata al supermercato, poi esci con la cugina, e vai all'ipercoop accennandole a quel fastidio all'altezza dei reni e del fianco destro, ma non ti preoccupi. La sera sei sola, perchè la mamma fa la notte e sai che il fidanzato ha la partita di calcetto. Però il mal di schiena comincia a essere un po' troppo fastidioso e quindi, in un'incredibile slancio di prudenza, telefoni a Davide prima che vada al campo di calcio e ti fai portare un tubetto di Voltaren. Il fidanzato, premuroso ma rassicurato dalla tua autodiagnosi (colpo della strega) ti spalma con amore il Voltaren, promette di lasciare il cell acceso durante la partita e poi va a giocare. Ed è mezz'ora dopo, che il dolore bastardo ti assale. Su quel divano, che è sempre stato uno scomodo portatore sano di cervicale, ora non resisti più. Muovendoti come un reduce da capottamento in automobile, ti alzi e vai a letto, dove di certo starai più comoda. Dove di certo il dolore si affievolirà. Ed effettivamente riesci addirittura ad appisolarti. Ma questo perchè il dolore è un bastardo: ti fa abbassare le difese, si accerta di coglierti di sorpresa, prima di attaccare. E quando attacca lo fa con la gendarmeria più pesante, in un'ondata unica e fitta e travolgente e soffocante, senza pietà, improvviso e sorprendente come solo il nemico più infimo e calcolatore può fare. E tu, inerme su quel letto, perdi tutto d'un colpo la pochissima lucidità che il dormiveglia ti aveva risparmiato. Senti che respirare equivale a piantarsi un coltello tra le costole, che piangere è impensabile perchè lo singhiozzare causa scosse dolorose allo stomaco che ti sembra venga preso a calci, che la sola idea di alzarsi per andare a prendere il cellulare ti può far svenire dal dolore. Perchè non sai cos'altro possa farti male, muovendoti. Se l'immobilità t'inchioda al letto in preda a ondate di fitte che a malapena ti consentono di respirare, cosa ti può accadere se ti alzi? Eppure, vuoi davvero passare la notte lì, da sola, con la compagnia di quel dolore bastardo? E allora ti alzi. Ti alzi e scopri che in piedi stai meglio, che puoi respirare anche se molto, molto, molto lentamente. Che se inali l'aria per uno massimo due secondi, i polmoni non esplodono come li avessero riempiti a dismisura. Sì, in piedi puoi resistere. Quando componi il numero di casa di Davide, e dall'altra parte senti la voce di tua suocera, scopri che anche piangere è diventato sopportabile, ma che ora che hai finalmente la libertà di singhiozzare, non hai la lucidità di parlare. Allora senti la voce del tuo fidanzato, che ha già capito tutto, e che dopo venti secondi sta già volando da te.
Poi inizia un lungo calvario, un ricovero sciagurato, una diagnosi scritta sugli esami del sangue che però, incredibilmente, i medici sembrano non saper leggere. Eppure è scritto a grandi lettere: amilasi pancreatica oltre dieci volte il massimo consentito. Ma no, la paziente è astemia, normopeso, giovane. Allora via, con le risonanze magnetiche. Nessuna malformazione. Poi un susseguirsi di ipotesi. Ma non è importante. Non è quello che conta. Conta la paura, perchè la notte quel dolore bastardo non si calma nemmeno dopo 3 dosi di antidolorofico (prima la pastiglia, poi le gocce, infine l'iniezione), e lo si mette a tacere solo con le flebo. Ecco, quelle sì, funzionano. Però niente cibo, perchè se anche non senti più dolore, i valori vanno alle stelle appena butti giù un chicco di riso. E così, per due settimane.
La pancreatite è stata maestra. Di dolore? No. Di spirito di sacrificio? No. Di pazienza? No. Di fede? no. Di amore? Sì.
Perchè lì, distesa sul letto (sollevato a 90 gradi, perchè poi la pancreatite ha gravi ripercussioni sullo stomaco anche se vuoto), ho sentito Davide che mi diceva: "Vorrei poter essere al posto tuo, per risparmiarti tutto questo". Ecco, gli ho creduto. E gli ho creduto perchè io mai e poi mai avrei voluto fare cambio, mai e poi mai avrei voluto vedere lui al mio posto, a lottare contro un male che avrebbe avuto un nome solo due settimane dopo. Fossi stata al suo posto, avrei provato un dolore ben più profondo, probabilmente. E quindi non so dire se il nostro fosse solo amore o se ci fosse anche una punta di egoismo. Non so dire se la persona innamorata si renda conto di quanto l'anima soffra ben più del corpo. Uno poi lo capisce a posteriori, perchè mentre le vivi, certe vicende non ti consentono di mantenere la lucidità. Ma ancora una volta, quello che conta è un'altra cosa: in quel momento sei convinto che il dolore fisico sia la peggior cosa che possa capitare al partner, e allora non vuoi fargli conoscere quell'esperienza. Forse sei convinto che l'altro ti ami un briciolo di meno, e che quindi il male che deve sopportare la sua anima mentre ti vede soffrire fisicamente sia ben più sopportabile di quello che dovrebbe sopportare il suo corpo. E' un errore, ma lo scopri poi dopo, col tempo, quando sono passati almeno tre anni e anche il fastidioso e debilitante decorso post ricovero è pressochè superato e puoi tornare a mangiare e uscire senza temere di star male da un momento all'altro (magari dopo aver mangiato una patatina fritta). Ecco, dopo, vedi che le ferite dell'animo del partner non sono superate, e che siccome la tua pancreatite non ti abbandonerà mai...non abbandonerà mai nemmeno lui.

lunedì 22 febbraio 2010

Sanremo, secondo me.

Non mi scandalizzo di fronte alla vittoria di Valerio Scanu. Dico sul serio, tutto sommato credo che sappia cantare, non ha stonato, ha studiato e ha portato una canzone forse banale (ma perchè, ce n'erano forse di innovative? Di mai sentite? Di rivoluzionarie?), ma che tutto sommato è orecchiabile, mi piace soprattutto la melodia di base. Il pianoforte iniziale poi lo trovo carino. Che vi devo dire, a me non dispiace che abbia vinto. Ha 19 anni, tanti sogni nel cassetto e la capacità di cantare davvero bene (l'ho sentito in altre performance ed è proprio bravo, secondo me), e allora va bene che abbia vinto lui. Se vinceva Marco Mengoni mi andava bene uguale, idem per Malika e Noemi. Lo scandalo è chiaramente il principe. Ora, io Sanremo non l'ho seguito per niente, se non attraverso internet e telegiornali. Però, però, però.
Però non posso non chiedermi che caspiterina c'entra un'intervista stile Porta a Porta a Bersani e Scajola da parte di Costanzo. Potrei soffermarmi anche sul fatto che c'erano ospiti 3 operai di Termini imerese (ribattezzato da mamma Mara "Termini RIMINESE). Anche loro, con tutto il rispetto, che c'entrano? Non era la sede. Costanzo è completamente rincoglionito, e chi gli dà corda in quel modo lo è quanto lui.
L'ospitata di J.Lo invece ha un suo perchè, così come Susan Boyle e quell'altro rapper nero molto famoso ma di cui mi sfugge il nome. Loro hanno un posto nella manifestazione...ma gli altri? Boh.
Antonellina Clerici: forse doveva mettere gli occhiali perchè quando leggeva (dal gobbo?) gli annunci dei cantanti sembrava una bimba delle elementari. Incartata di brutto. Per il resto bisogna ammettere che s'è trovata in diretta in qualche situazione particolare (fischi dalla platea, orchestra che protesta, Costanzo che pensa di essere Vespa ecc...), e che dato che di Pippo Baudo non se ne può più bisogna accontentarsi. Almeno non ha annunciato in diretta la ricetta per cucinare i gatti (Bigazzi...sei proprio scemo!).
Le canzoni: ne ho sentite poche, però a mio modestissimo parere sono più belle di quelle dell'anno scorso, o quantomeno quelle carine sono più numerose. Le canzoni di Irene Grandi, Noemi, Scanu, Mengoni, Malika sono carine...dai l'anno scorso erano di meno! Non ho volutamente nominato Povia, perchè lo odio, lo trovo un leccaculo allucinante e mi stupisco che i soliti buonisti ipocriti e rimbambiti italiani ci caschino ancora. Sveglia!!!
Detto questo sono felice che Sanremo sia finito. La prossima volta voglio la mia Paoletta su quel palco. E la voglio con la statuetta in mano.
Vado a fare l'amore in tutti i laghi. Au revoir.

mercoledì 17 febbraio 2010

La tortura e l'indifferenza.

Si arriva a sera, magari stanchi, dopo una giornata di lavoro (o peggio: una giornata spesa alla ricerca di un lavoro che non c'è), una giornata di sogni infranti, di fatica, di falsi sorrisi dispensati a chiunque pur di portare a casa la pagnotta, e tutto quello che vorresti è poter leggere una buona notizia. Ad esempio, che il canile di Tricase è stato svuotato e tutti i cani adottati, che Pagliaccio ha trovato una famiglia che lo ama, che è finalmente resa illegale anche la vivisezione sui gatti (lo sapevate che in alcuni casi è consentita??), che in Spagna si sono improvvisamente risvegliati con un grande senso civico e hanno cambiato la legge che impone la soppressione dei cani detenuti nelle perreras...invece no...invece leggi che c'è ancora gente orribile che si filma mentre tortura con tacchi a spillo un cucciolo di cane, portandolo alla morte. Come se non bastasse, tra i commenti trovi qualcuno che con immensa sensibilità ed evidentissima capacità di comprensione e analisi si scandalizza di tanta attenzione per una notizia sugli animali...scherziamo? Un intero articolo di giornale sulle atrocità commesse su una creatura non umana? Tutto questo nuoce gravemente all'economia mondiale! Scandalizzarci e schifarci di questo accadimento che ha coinvolto un povero cucciolo comporta la morte di almeno 10 bambini in Africa! E vogliamo parlare della crisi economica? Avete idea di quanto questa notizia (con relativi commenti di condanna verso l'atto ignobile della tortura) possa far sprofondare le borse di tutto il continente?
Io non posso davvero crederci. Sono schifata di certo dalla notizia della prolungata agonia imposta al cane (il video nemmeno l'ho guardato...ho già visto troppo), ma non so più dire se mi spaventa maggiormente il sadismo dell'essere umano che si accanisce su un essere vivente, o la totale indifferenza di altre persone di fronte a questo evento. Perchè ci stiamo abituando a tutto, capite? Perchè non possiamo perdere nemmeno un secondo a provare un'infinita pena per quell'anima innocente brutalizzata...dobbiamo pensare al crack delle banche inglesi! Dobbiamo pensare ai nostri politici che sperperano il denaro pubblico per andare a trans! Dobbiamo pensare che il mercato del lavoro va alla deriva e noi tutti con lui! Dobbiamo sempre e solo pensare alle uniche cose che contano davvero al mondo: l'economia e la finanza, se poi vogliamo proprio guadagnarci un posticino in paradiso possiamo lanciarci in un atto di infinito buonismo (ipocrita!) e ricordarci che in giro per il mondo esistono una manciata di milioni di persone che crepano di fame.
Fine.
Guai a soffermarsi su un altro aspetto che sta andando alla deriva: l'animo umano. No, a che ci serve una coscienza intatta? A che ci serve un'anima pura? Mica ci danno il pane, quelle!
Meglio pensare alla bolla immobiliare di Dubai, vero?
Perchè chi se ne frega del cane...se muore ce ne sarà uno in meno per strada, e 50 cent in meno che lo Stato dovrà passare ai canili per il suo mantenimento (così con quei 50 cent un qualche politico potrà offrire un caffè alla escort di turno).
Non c'è più posto nei nostri pensieri per chi non ha voce. Non c'è più posto per chi non può gridare la propria disperazione, per chi non ha gli occhi di un bambino (ma anche per loro, purtroppo, comincio ad avere qualche dubbio), per chi, semplicemente non è umano, civile. Per chi non ha un conto corrente. Per chi non sa cosa sia Dubai. Per chi non ha almeno un fondo d'investimento.
Che schifo.
E resto della fermissima convinzione che non è necessario amare gli animali e adottarne tanti o fare volontariato al canile per essere una brava persona. Però chi odia e disprezza gli animali, odia e disprezza i più deboli e indifesi. Ma a volte, anche le persone possono essere deboli e indifese: quindi queste terribili torture sono toccate a un cane solo per puro caso. Sarebbe potuto essere un bambino, un portatore di handicap, un senzatetto. Chi fa del male agli animali, è pericoloso anche per le persone.
Ma la cosa più importante è che ENEL ha indetto un'offerta pubblica di vendita, che la borsa è positiva e che anche oggi il pasto è garantito.
Infinita tristezza.

venerdì 12 febbraio 2010

Gli errori del principiante

Credo di averli fatti più o meno tutti, e quelli che non ho fatto prima li farò senz'altro adesso, con il nuovo romanzo. Gli errori si possono commettere in tutte le fasi di un lavoro letterario, dal momento in cui nasce all'idea a quello in cui si cerca di pubblicare la storia.
In fase di stesura, ad esempio, scrivo aggettivi ovunque. Aggettivi inutili, ridondanti, fastidiosi e a volte anche ridicoli. Quando vado a rileggere per la prima volta la stesura mi chiedo davvero com'è possibile che io ne abbia buttati lì così tanti. E allora si parte con l'amputazione, a volte dolorosa, ma sempre e comunque indispensabile. Alla fine, sarò onesta, temo sempre di averne lasciato qualcuno di inutile in qua e in là.
Un altro errore che commetto di sicuro è quello di far dirigere il gioco ai personaggi, che sono molto indisciplinati. Inizialmente parto sempre con l'intreccio più o meno chiaro, per giungere alla fine e ritrovarmi una storia fortemente diversa. Questo perchè io sono solo il braccio, la mente è data dall'insieme dei personaggi che fanno quello che vogliono. L'errore non sta tanto in questo quanto nel fatto che poi ci sono deus ex machina da correggere, contraddizioni, passaggi poco chiari. Quindi, dopo l'amputazione degli aggettivi, serve un'altra stesura per sistemare tutte queste beghe.
Un altro errore tragico è il cadere in paranoia: siamo sicuri che al mondo non sia stata scritta una storia simile? Non è che poi mi accusano di plagio? E i nomi dei personaggi non saranno troppo evocativi di storie altrui? Forse la mia storia non è abbastanza originale! Forse è troppo fantasy! Oh Dio, non posso mettere un vampiro nella mia storia perchè tutti direbbero che ho copiato Twilight! Aaahhh! Oh mamma ma c'è anche un licantropo!
Tutte pare inutili perchè se la gente dice che hai copiato la Meyer in quanto esiste un vampiro nella storia, allora la Meyer ha copiato la Rice, la Rice ha copiato Stocker e via dicendo.
Poi parte la valanga di errori che riguarda il "dopo". Dopo che l'hai scritto, riscritto, ri-riscritto e spesso addirittura ri-ri-riscritto, ti senti in grado di proporlo agli addetti al lavoro. Qua gli errori non li so bene identificare, posso dire che: bisogna evitare le case editrici a pagamento (qualunque forma di pagamento, acquisti di copie e coperture spese compresi, sono esclusi invece i costi derivanti dai lavori di professionisti quali editor e agenti), bisogna evitare case editrici che non pubblicano il genere del nostro romanzo, bisogna evitare le raccomandate (postali), bisogna evitare di scassare troppo la minchia perchè se non c'è trippa per gatti ogni azione è inutile.
Non ho ancora capito se le agenzie letterarie sono da scrivere nel reparto "errori del dopo".
Non ho ancora capito se rivolgersi direttamente a un editor sia un "errore del dopo".
Una cosa ritengo abbastanza certa: se si decide di rivolgersi a una persona in particolare (editor, agente, ecc...) bisogna presentarsi in maniera intelligente. Ovvero: quanto ci fa incazzare ricevere la lettera di rifiuto standardizzata da parte della casa editrice? Molto, perchè capiamo che non l'hanno scritta per noi e che probabilmente non hanno letto il nostro lavoro (e d'altra parte come potrebbero fare altrimenti? Eppure la gastrite ci sale lo stesso). Quindi: a che velocità potrebbero girare le palline dell'editor o editore di turno leggendo una nostra lettera standard, che potrebbe andar bene anche per un benzinaio o un primario ospedaliero? Credo che sia quantomeno prova di educazione e rispetto spiegare il perchè di quella scelta, motivandola possibilmente con la propria opinione sul lavoro del professionista in questione.
Detto questo, credo che di errori del "prima, dopo e durante" ce ne siano una valanga, credo di averne commessi una buona parte, ma credo anche che non sarò mai una scrittrice frustrata. Perchè? Perchè la pubblicazione non è il mio fine. E' un (un, non il) mio mezzo. Il mio mezzo per poter un giorno sbraitare tutto quel che so sulla questione animalista. Informare, divulgare, aiutare e perchè no anche imparare il più possibile su tutto ciò che riguarda la dignità della vita animale e i diritti di queste creature. Questo, e solo questo. Se non ce la farò attraverso la pubblicazione dei miei romanzi e quindi sfruttando un'immagine "popolare", ce la farò in altro modo. Per questo, non sarò mai una scrittrice frustrata: perchè pubblicare non è il mio fine. Però sarebbe una figata!

PS
parlo del romanzo nuovo, l'altro è stato pubblicato.

sabato 6 febbraio 2010

Perchè in America i sogni si realizzano?

E’ da tanto che me lo chiedo, ma non è che io abbia trovato una risposta univoca. C’è chi dice che semplicemente l’America (nello specifico oserei dire gli USA) è più grande, ci sono più persone, perciò è percentualmente più probabile realizzare “il sogno” e ottenere risultati. In pratica, è più probabile trovare il mendicante che diventa miliardario tra 500.000.000 di persone americane che tra 50.000.000 di persone italiane. Giusto. In teoria. In pratica, è molto più raro di quanto ci si dovrebbe aspettare che un italiano sbanchi, matematicamente parlando. E la domanda è: perché?
Ora, io in America non ci sono mai stata, tutto quello che so viene da una fonte molto poco attendibile: la televisione. Poi ci sono giornali, libri, riviste, cinema e quant’altro, ma la tv è la fonte primaria. E cosa mi insegna la tv sull’America? Che là i sogni vengono rispettati. Cha là si tende ad investire maggiormente sulle nuove reclute. Che là puoi collegarti a internet oggi, mandare una mail a Steven Spielberg stasera e leggere la sua risposta domani. Nella mail non troverai scritto chissà che, ma forse qualche buon consiglio sì, e se sei fortunato anche qualche numero di telefono utile.
Prova da Ferrara a mandare una mail a chessò...Giorgio Faletti. Se (e sottolineo se) ti risponderà sarà per dirti “grazie dei complimenti, forse me li merito e forse no, ma li accetto. Ah...ho letto che anche tu hai un sogno. Beh buona fortuna.”
Capite la differenza? Qua c’è una barriera, tra chi ce l’ha fatta e chi ce la vuole fare, pressoché insormontabile. Praticamente delle caste. Perché chi ce l’ha fatta “ha dovuto lottare con le unghie e con i denti, farsi il culo, uscire dalla miseria...perciò anche tu dovrai fare lo stesso. Perché per te dovrebbe essere diverso? Perché devi lottare meno di me? Poi non sia mai che ci sia troppa concorrenza, perciò fottiti.”
Pare che in America ci sia posto per tutti, e chi ce l’ha fatta non ha nulla da temere dalle nuove leve. Anzi, potrebbe addirittura imparare qualcosa di nuovo!
Qua no. Qua le poltrone sono tutte occupate: “vatti a scaldare il culo in mezzo all’immondizia, grazie.”
Non voglio certo dire che negli USA tutti realizzano il proprio sogno, ma un'opportunità spesso (non sempre) capita. Ultima in ordine cronologico: il film Paranormal Activity, costato 15.000 dollari, girato in 7 giorni, fonte di guadagno per 107 milioni di dollari (solo in America). Un sogno, oggettivamente. Internet è stato di certo il principale mezzo di pubblicità, servivano 1.000.000 di persone che chiedessero di veder il film sconosciuto nella sala vicino a casa, e il regista le ha trovate, queste persone. Poi va beh, tra queste persone c'era un tal Steven Spielberg...questo ha aiutato. La domanda è: qua sarebbe stato possibile tutto ciò? Qualcuno avrebbe davvero richiesto di vedere il film nella sala della propria città? Qualcuno si sarebbe interessato a questo film e al sogno che si portava dietro? In Italia, esiste davvero il passaparola? Qualcuno che davvero si prodighi per far sapere ad amici e paranti che "quello sconosciuto che fa film/libri/canzoni/quadri è davvero bravo e merita la loro attenzione?
Oppure ognuno si fa i fatti suoi, guarda "in casa propria", e si interessa solo ed esclusivamente del passaparola già innescato all'estero?
La solitudine dei numeri primi avrebbe venduto così tante copie se non avesse vinto il premio Strega? Qualcuno l'avrebbe esaltato in maniera così eclatante se invece che da Mondadori fosse stato pubblicato da una piccola casa editrice? Coloro che l'hanno premiato con tanta foga, l'avrebbero ugualmente considerato se non fosse stato targato Mondadori?
In Italia, è ancora possibile partire da zero e cambiare la propria vita e magari anche quella degli altri? I sogni, qua, hanno valore? O sono una perdita di tempo, un qualcosa che distoglie dal lavoro, dallo studio, dalla famiglia?
C'è ancora qualcuno che crede e ha voglia di investire nella novità? Nel nome nuovo? O è preferibile fare investimenti sicuri, puntare su nomi noti?
Un treno di domande abbastanza banali. E concludo dicendo che non ho mai scritto a Faletti, che non so cosa risponderebbe se gli si mandasse una mail e che ho scritto il suo nome solo perchè è uno dei più noti. Magari se gli mandate una mail sarà molto cordiale e vi svelerà il suo segreto del successo. O forse vi manderà a fare in culo. Non lo so. Non è questo il punto, comunque.

lunedì 1 febbraio 2010

La mia "cosa" da un altro punto di vista

Mi aggiro tra le vie delle città, a volte volo trasportato dal vento, e posso abbracciarvi meglio. Quando vi incontro mi stringo a voi, affondo le dita nelle vostre folte pellicce, avvolgo i vostri corpi così caldi, così accoglienti. Condivido con voi creature del monde animale la frustrazione dell'abbandono, e vi accompagni nei lunghi inverni per non farvi sentire soli. Vi sento tremare sotto le mie spire, sento le vostre zampe intirizzite e i vostri peli umidi. Quando mi allontano un po' mi appoggio alle vostre ciotole e l'acqua si ghiaccia, impedendovi di bere. Quando mi siedo per terra il cemento diventa una lastra gelata che vi fa scivolare e cadere, a volte sbattendo contro le reti e le sbarre delle vostre prigioni. Vi tengo compagnia, amici animali, nella solitudine della vostra vita di orfani, di figli di nessuno, di creature di un Dio minore. Quando vedo che le vostre zampe non vi sostengono più vi sto più vicino ma la situazione peggiora tanto che a volte non siete più in grado di muovervi. Vorrei aiutarvi e invece vi uccido. Eppure io voglio solo coccolarvi, donarvi l'affetto e l'amore che i bipedi vi hanno negato. Vi accarezzo, vi stringo, vi bacio, e voi tremate. Quale invidia provo per i bipedi che possono toccarvi senza procurarvi fastidio o dolore! Se solo sapessero, quegli uomini, quale grande fortuna hanno tra le mani! Tutto quello che io tocco rabbrividisce, si crepa, si spezza. Non mi guarderete mai, amici a quattro zampe, con la devozione e l'amore che dedicate alle persone che vi danno cibo, un po' di attenzione, un briciolo d'amore. Mai potrò godere di un così disinteressato affetto da parte vostra, perchè io vi faccio battere i denti. Che cosa ignobile compie l'uomo che vi abbandona, che vi picchia, che vi uccide! Se solo io potessi donarvi sollievo col mio tocco lo farei, lo farei per godere per un secondo del vostro amore che dispensate con così grande ingenuità e facilità. Ma io non posso, non posso darvi quello di cui avete bisogno, piccoli amici animali. E non importa che siate gatti, cani, topolini, volpi...la vostra innocenza mi disarma. Non posso stare lontano da voi, dai vostri corpicini che sprigionano affetto. E vi gelo. Perchè io sono il freddo, e come voi, sono solo e abbandonato da tutti.

martedì 26 gennaio 2010

Piccolo cane che sorride

All’inizio non uscivi nemmeno dalla cuccia, te ne stavi lì rintanato ma eri così curioso che sporgevi la testina fuori, e mi guardavi. Mi guardavi e sorridevi, e chi pensa che i cani non possano sorridere dovrebbe venire a conoscerti. Eri una delle creature più buffe che io avessi mai visto e vedevo la caparbietà di vincere la puara nelle tue fugaci apparizioni fuori dalla cuccia. Avevi una voglia immensa di provarci, di stabilire un contatto, di farti coccolare davvero. Ti avvicinavi col tuo passo claudicante, la bocca aperta a scoprire i denti in quel modo meraviglioso che solo tu sai fare, arrivavi a due passi da me, ma appena allungavo la mano scattavi verso la cuccia di nuovo, dove tornavi ad affacciarti sorridendo. Mi prendevi in giro? Mi sa di sì, mi tenevi sulle spine, ma avevi già scelto, avevi già deciso: ti saresti fidato. Un giorno ho deciso di entrare nella cuccia, e tu hai avuto paura perché ti sei appiattito sul cemento facendoti la pipì addosso, ma ti sei fatto mettere il collare, e poi il guinzaglio, e ti sei fatto accarezzare. Con la pazienza che solo chi ti guarda negli occhi può trovare, ho atteso che uscissi dal box: meno di venti passi per uno scricciolo di 12 chili come te, ma ti sono parsi lunghissimi, perché poi ti sei seduto subito tra le mie gambe e mi hai guardato sorridendo. Per uscire dal canile abbiamo impiegato più di 10 minuti, ricordi? Ogni dieci passi ti lanciavi tra le mie gambe e quasi sono caduta. Cercavi la protezione di una cuccia che non avevi più, e la trovavi nel mio corpo. Era tutto troppo grande, vero? Troppa aria, troppo ossigeno, troppi spazi aperti, e nessuna cuccia in cui nascondersi. Adesso arriviamo a fare anche 300 metri fuori dal canile, è un grande successo, e anche al ritorno cammini da solo, non come la prima volta, che ho dovuto portarti indietro tenendoti in braccio perché eri troppo terrorizzato. Il giorno dopo avevo un mal di schiena che non scorderò più, eppure ne è valsa la pena, eh?
Ti guardo, piccolo cane che sorride, ti guardo anche adesso e mi sorridi ancora, mi sorridi sempre e ti lanci sulla rete scodinzolando ogni volta che arrivo perché mi riconosci da lontano. Infilo le dita tra le sbarre e tu me le lecchi con devozione ed entusiasmo. E io vorrei prestarti i miei occhi per consentirti di piangere. Vorrei prestarti la mia voce per consentirti di gridare il tuo dolore. Vorrei prestarti le mie mani per consentirti di scuotere le sbarre.
Ma se tu avessi i miei occhi non piangeresti, tu li useresti per vedere quel poco di bello che c’è al di là della rete.
Se ti avessi la mia voce non grideresti il tuo dolore, la useresti per cantare la gioia della tua nuova vita lontano dal canile lager.
Se tu avessi le mie mani non scuoteresti le sbarre, le useresti per allungare le dita al di là della tua prigione e accarezzare le ali delle farfalle.
Perché se tu avessi tutto ciò che ho io, saresti migliore di me.
Invece non hai nulla di quello che ho io: ti hanno fornito di quattro zampe di cui solo tre ben funzionanti, di una folta pelliccia ormai devastata dai nodi che ti divorano anche la pelle e di quel sorriso che si può scorgere solo raramente nel volto di un bambino e in quello di un angelo.
Questa primavera dovremo rasarti a pelle, sai? Adesso no, è troppo freddo, ma per quei nodi terribili non esiste soluzione: sono un covo di parassiti e ti fanno anche tanto male perché sono grossi come i pugni di un uomo. Poi diciamocelo, tu ti sdrai sempre sulle tue cacche, vero? Non importa cos’hai sotto la schiena, tu porgi sempre il tuo pancino in segno di sottomissione e ti prendi tante coccole. A me non importa se fai cattivo odore e se sei tutto sporco: che vuoi che sia una coccola quando ti ho portato in braccio per centinaia di metri?
Vorrei poter fare di più. Anzi, potrei fare di più, ma non ho il coraggio. Non ho il coraggio di mollare tutto e venire da te e dai tuoi compagni e dedicarmi esclusivamente a voi, non ho il coraggio di mettere da parte la mia vita per salvare la vostra, non ho il coraggio di essere migliore di quello che sono. Non sarò mai come te, piccolo cane che sorride.

lunedì 18 gennaio 2010

La morte non ha la faccia di un bambino

Accendere la tv e aprire un giornale sta diventando uno strazio, per giorni e giorni la morte ha avuto il volto di bambini, cosa che mi fa pensare alla pedopornografia. E’ incredibile tutto questo, perché quando paparazzano le star con i loro figli in braccio, il volto dei pargoli è sempre oscurato. E quelli sono bimbi felici, ricchi, in salute. Quando invece i bambini sono morti, feriti, violati dalla natura, allora non c’è filtro. La morte ha la loro faccia, e non è giusto. Il volto di un bambino è e dev’essere simbolo di speranza, e l’uso (perchè è questo che fanno: li usano!) che ne viene fatto mi lascia schifata e sconvolta. Non c’è niente di nuovo in tutto questo, per carità, ed è anche vero che la metà della popolazione haitiana è composta proprio da loro: bimbi.
Ci si sente sempre incredibilmente impotenti di fronte a tutto questo, e molti di noi lo sono. Se potessi, se fosse utile, partirei stasera. Ma non sarei utile, e non parto. Il bonifico effettuato stamattina in favore di quelle popolazioni non mi fa sentire meglio in nessun modo, è come se non avessi fatto proprio nulla per aiutarli. Per quanto io abbia tentato in tutti i modi di mettere il cuore nell’atto di fare click su “onferma bonifico”, non ce l'ho fatta, mi sono sentita come se avessi tirato la cordicella dello sciacquone. Sarà che con i soldi ci lavoro, e ogni giorno mi rendo conto di quanto siano sempre causa di malcontento e litigio, chissà. Sarà che resto sempre del parere che mandare un bonifico ogni tanto (a Natale, ad esempio) sia solo un modo delle persone di scaricare la coscienza. Sarà che secondo me le cose vanno fatte con costanza, con ordine, possibilmente di persona. E in questo caso non sarà così: non manderò un bonifico al mese di persona a quella gente (resterà un "una tantum"), non controllerò che i soldi arrivino a destinazione (non ne avrò la possibilità) e, soprattutto, io non andrò ad Haiti per fare la differenza. Quindi sono inutile. E anche voi che fate come me lo siete.
Ognuno di noi dovrebbe avere il suo pezzettino di inferno da spegnere, e ci vuole tempo, dedizione, sacrificio, amore. E qualcuno di voi (forse tutti) storcerà il naso leggendo che proprio in queste occasioni mi rendo conto di quanto un animalista sia bravo a gestire il proprio pezzetto di inferno. Perché noi non aspettiamo catastrofi naturali per ricordarci che le cose vanno male, noi lo sappiamo sempre, viviamo in questa consapevolezza e ci facciamo i conti volta che chiudiamo gli occhi, ogni volta che passeggiamo per strada, ogni volta che andiamo a letto, ogni volta che parliamo con qualcuno, ogni volta che respiriamo. Quella dell’animalista è solo la consapevolezza del più debole, e non importa che questo sia cane, gatto, uomo, donna, bambino; importa solo che l’animalista, in prima persona, possa fare qualcosa di concreto per aiutarlo. E questo non sarà un aiuto “una tantum”, lui si dedicherà alla soluzione del problema finchè avrà fiato. Perché una volta il saggio GL disse che “di solito” chi aiuta gli animali non si tira indietro di fronte a una persona che si trova in difficoltà, e ha ragione. Perché allora scegliamo gli animali e non i bambini? Perché non abbiamo scelta, siamo nati con questa vocazione ma, statene pur certi, mai e poi mai un animalista resterà indifferente alle tragedie umane. Il pezzettino di inferno più vicino a noi non è quello di Haiti, ma quello delle torture e delle violenze sugli animali, e cerchiamo di spegnere quello. Quando l’avremo spento, sceglieremo un altro inferno. E comunque, non è detto che si debba gestire un inferno alla volta. Simona Sessa, co-amministratrice insieme a me de Gli amici di Gattone, si dedica da decenni alla lotta contro anoressia, bulimia e violenze sulle donne.
La sensibilità di un animalista di fronte a catastrofi quali quella Haitiana però non si esaurisce con le notizie al TG. Prima o poi i nostri giornalisti non parleranno più del terremoto e le foto dei bambini non saranno più lo slogan delle TV. Ma gli animalisti non dimenticheranno. Io tutt’ora sto ben attenta a non comprare vestiti made in Birmania anche se le nostre trasmissioni si siano già dimenticate di quanto successo in quel paese pochi anni fa. Oltre agli animalisti (che sono solo una delle tante categorie)ce ne sono tante di persone con una sensibilità così profonda da non dimenticare certe cose nemmeno quando sarebbe meglio farlo. Resto sempre molto contrariata nel constatare che la televisione manipola le nostre coscienze: adesso siamo tutti sul pezzo, tutti a piangere lacrime amare per quei bambini strumentalizzati, usati come spremilacrime. Temo che sarà sempre la televisione a decidere quando quei bambini potranno essere dimenticati. Pedopornografia della morte: il nuovo business.

domenica 10 gennaio 2010

La prima volta

Ciao, uomo. Ehi, che buon profumo che fai! Fa sentire per bene, dai!
Wow...ma questi...si! Questi sono biscottini al manzo! Ma sai che al vecchio canile non me li davano mai? Che fai? Che fai con quella mano in tasca? Oh, mi fai paura! Scappo nella cuccia. Sento che mi stai chiamando, allora faccio capolino. Ti vedo lì accucciato, con la mano tesa. Che vuoi da me? Nel vecchio canile non entravano mai nel box e quando lo facevano uscivano subito. Boh, sai di buono, uomo: sai di fango, di biscotti al manzo e....eh sì, sai anche di cacca! Mi sa che ne hai pestate parecchie in questo posto. Beh, sono odori rassicuranti. Esco ancora dalla cuccia e vedo che sorridi, ancora con la mano tesa. Mi avvicino e lo capisco subito che mi sta tendendo i biscottini...che faccio? Li prendo? Non è che poi ti arrabbi? Mmmm...proviamo.
Prendo un biscottino con la punta del muso e mi allontano subito, le orecchie appiattite sul capo e la coda nascosta tra le zampe. Tu rimani lì, e mi parli con un tono calmo. E mi lasci i biscottini! Cavolo, sono buoni. Beh, ora che mi hai dato da mangiare puoi uscire dal mio box.
Che fai? Cos'è quella roba che tieni in mano?
Oh! No eh??? Che mi metti intorno al collo! Ho paura!!!!
Tremo tutto e mi appiattisco a terra ma la tua mano mi accarezza. E' la prima volta che mi capita. Mamma mia, che bella sensazione! Dai non fermarti, ancora una coccolina sulla pancia, guarda te la offro, in pieno segno di fiducia e sottomissione. Quante coccole che mi fai, uomo! Non ne ricevevo mai nel vecchio canile. Va beh, dai...mettimi quella cosa intorno al collo...giusto perchè mi offri un biscottino eh?
E adesso? Perchè lasci aperto il cancellino del box? Perchè mi tiri con quella roba che mi hai messo intorno al collo? Che fai? Che fai? Che fai, uomo? Io non esco da qui! Non sono mai uscito a parte quando mi hanno trasferito qua dal vecchio canile....ci sarà un motivo!
Un altro biscottino? Me lo offri da fuori del box. Mi stai corrompendo, eh?
Ok, vengo fuori, ma vengo piano piano, strisciando sulle zampine, con la coda piantata tra le posteriori, le orecchie che quasi non si vedono da tanto sono appiatite. Prendo un biscottino e tu...tu mi fai un'altra carezza! Un'altra carezza...mi emoziono a tal punto che mi scappa la pipì e non riesco a fermarla. Scusami uomo! Ti prego scusami se ho sporcato! Tremo per paura di una punizione ma tu, uomo, continui a coccolarmi. Allora mi sta bene, mi fido di te e ti seguo. Mi porti fuori dal canile, e vedo tanto verde! Aspetta che annuso, annuso quest'erba che pensavo fosse stata inghiottita dall'asfalto del mio box, annientata dalle grate del canile. Invece in questo nuovo posto, c'è l'erba! Poi mi siedo perchè abbiamo fatto diversi metri, e io non sono abituato a passeggiare per più di due metri...la lunghezza del box. Ti avvicini, e mi rassicuri, mi coccoli. Io mi emoziono ancora ma tu non mi punisci, mi coccoli ancora. Ok, ancora qualche metro, va bene? Poi mi porti indietro perchè tutta questa libertà mi spaventa. Ti cammino appiccicato alla gamba, e so che tu quasi inciampi su di me ma non mi sgridi, non mi abbandoni: mi accarezzi ogni pochi passi per rassicurarmi. Ti sto tanto tanto vicino e vorrei che tu non te ne andassi mai. Vieni con me nel box? Io c'ho vissuto senza mai uscire per tanto tempo, sai? Si può fare. C'è posto nella mia cuccia! Dai dai, vieni nel mio box! Ma tu ancora cammini, sembri felice e mi sorridi, allora ti assecondo e cammino con te. Beh, devo dire che l'erba, l'aria, gli alberi, il cielo... comincia a piacermi questo immenso spazio libero! Così camminiamo ancora un bel po', io ogni tanto mi fermo perchè ho paura di sbagliare, ma tu mi rassicuri e mi coccoli, mi dai biscottini...mi sembra un sogno tutto questo! Un sogno!
Quando mi porti indietro mi dai ancora qualche carezza, poi esci dal box. Ti volti e agganci le tue mani al cancellino e io vengo a leccarti le dita: quelle dita che mi hanno dato affetto e cibo buono per la prima volta. Ti amerò per sempre, uomo. Amavo i tuoi simili che entravano nel box solo per lanciarmi cibo che non sapeva di niente e uscivano senza neanche guardarmi. Amavo i tuoi simili che non mi hanno mai fatto vedere a un veterinario, che non mi hanno mai curato, che non hanno mai pulito il mio box e che mai e poi mai mi hanno fatto annusare l'erba. Sì, io amavo i tuoi fratelli che stavano al vecchio canile, quello che tu chiami canile lagher. Ma adesso che sono qui, che ho una coccola, cibo buono, una cuccia, una coperta, e addirittura una passeggiata al giorno, sono felice. Felice in canile. Chissà se si può essere più felici di così. Beh, se tu venissi a vivere nel mio box io sarei felicissimo, in effetti. Ce l'hai anche tu un box? Chissà se ce l'hai, se me lo mostrerai. Se mi porterai con te in un posto dove nessun cancello ci dividerà, in un posto dove ti vedrò sempre. Ma va bene anche così, io nel mio box e tu nel tuo. Perchè io mi accontento anche dell'amore che puoi darmi part time. Perchè, senza voler essere poi troppo presuntuoso, ho come l'impressione di essere più capace di te ad amare.

giovedì 7 gennaio 2010

L'esercito di Gaia, Joy e Le Muse




Salve cari lettori! Sono stata un po' vagabonda, lo so, ma le feste per noi volontari portano pochi doni ma tante ore da passare al canile, perciò spero mi perdonerete!
Volevo informarvi che l'associazione le Muse cui verranno devoluti i miei ricavati dalle vendite de L'esercito di Gaia sta ospitando il povero Joy: un pastore tedesco cui hanno sparato sul muso a un metro di distanza il 24 novembre scorso. E' stato sottoposto a ben 2 delicatisismi interventi, che sono perfettamente riusciti! Joy porta ancora un po' i segni della cattiveria umana sul suo bel musone, ma può condurre una vita normalissima e riempire la vostra di grande affetto! Ora infatti Joy cerca una famiglia, qualcuno che vada oltre le sue cicatrici e lo ami per quello che è, così come farà lui con voi!
Quindi, se volete aiutare gli amici animali lo potrete fare contattando me, Gli amici di Gattone o l'associazione Le Muse, senza ovviamente mai dimenticare che potrete fare un dono dalla doppia valenza acquistando il mio romanzo L'esercito di Gaia (episodio 1) i cui guadagni (miei) andranno a rifocillare le sempre vuote tasche delle associaizoni animaliste!